Finito il lockdown, riprende l’attività del settore del gaming e amusement. Nuovi problemi che si sommano ai vecchi perennemente irrisolti? Ne abbiamo discusso con Roberto Marai in una lunga intervista
Dalla metà di questo mese, sale giochi, sale scommesse, bingo e sale slot sono tornati in attività dopo tre mesi di lockdown. Come stanno andando per lei questi primi giorni di ripresa?
“Farei innanzitutto una distinzione netta tra le sale del Comma
6 e quelle che si occupano invece del puro intrattenimento. Per
quanto riguarda le prime, dalle impressioni iniziali il lavoro sembra essere ripartito, grazie agli accorgimenti che abbiamo adottato per rispettare le normative. È più semplice ripartire per le sale più grosse, quelle più piccole devono faticare maggiormente per riformulare un’offerta adatta a soddisfare le esigenze della clientela. Gli afflussi sono comunque buoni, più passa il tempo più ci si riapprossima ai livelli pre-COVID. Per le sale dedicate agli apparecchi senza vincita in denaro, la questione è invece più delicata e la ripresa appare, e sicuramente sarà, decisamente più complicata. Molte sale con cui collaboriamo sono situate all’interno di multisala: considerato che l’industria cinematografica non fa uscire nuove pellicole perché ritiene che l’afflusso non sarebbe adeguato, si crea una sorta di circolo vizioso, per cui la gente, in assenza di film nuovi, non è invogliata a frequentare i cinema, con evidenti conseguenze anche per l’afflusso nelle nostre sale. Non solo questa tipologia di locali, ma anche i grandi FEC risentono notevolmente della situazione attuale. Videogiochi e ticket redemption sono macchine che per lavorare bene quasi presuppongono situazioni di assembramento. Molto spesso, nelle macchine per più giocatori, si è costretti a disattivare metà
delle postazioni, con conseguente dimezzamento degli introiti”.
Concentriamoci sulle linee guida regionali che devono essere
seguite nei locali. Quale è l’aspetto più problematico? Gli adeguamenti alle nuove normative sono gravosi?
“Oltre alle già citata impossibilità di avere una quantità adeguata di persone attorno alla macchina e di dovere rinunciare a uno “spazio fisico monetizzabile” disattivando apparecchi e postazioni, anche la sanificazione obbligatoria del locale, per quanto necessaria, rappresenta un ostacolo. Poi, logicamente, la problematica che sempre abbiamo avuto di non avere una legislazione uniforme a livello nazionale fa nascere ogni genere di complicazioni e incomprensioni. Per quanto riguarda, ove obbligatorio, il rilevamento della temperatura non si tratta di un grosso problema, così come la sanificazione obbligatoria delle macchine ogni ora. In fin dei conti basta fare un giro della sala e passare le macchine con gli strumenti adeguati. Attenzione però che questo non rappresenta un problema a livello gestionale solo per ora che l’afflusso di gente è limitato. Quando e se (come tutti auspichiamo) gli afflussi torneranno ai livelli pre-pandemia, la sanificazione comporterà un diverso grado di difficoltà e di impegno. Allo stesso modo, non è la stessa cosa, a livello di incidenza costi, se una sala può impiegare proprio personale nelle operazioni di sanificazione o deve invece appoggiarsi a risorse esterne, perché questa seconda eventualità andrà a determinare un maggiore impatto della spesa. L’attrezzatura di base per adeguarsi alle normative, di per sé, non ha un costo eccessivamente gravoso: dispenser di igienizzante, spray sanificatore e una segnaletica che indirizzi i clienti delineando percorsi distinti e separati di entrata e uscita. La necessità di adeguarsi alle normative anti-COVID è, a mio avviso, la parte meno problematica inerente la ripartenza”.
Che estate prevede?
“Non è tanto il vincolo delle disposizioni sanitarie a penalizzarci, quanto, nel caso nostro ma anche di tutti i comparti di turismo e commercio, l’assenza del turista straniero, il clima generale di paura per cui la gente non riesce ancora a vivere la vita sociale in tranquillità ed è vittima della paranoia di potere contrarre il virus. Quest’anno lo ricorderemo come un anno disgraziato in ogni caso, che ci ha lasciato un’eredità più che gravosa, di cui ci porteremo appresso gli strascichi nei prossimi anni. Le attività annuali, d’altronde, hanno perso un centinaio di giorni di lavoro (se non di più), mentre a quelle stagionali manca tutto l’inizio di stagione, a partire dai ponti di primavera in cui i turisti esteri erano soliti arrivare in massa. E oltre a questa mancanza, anche la ripartenza in sé risulta arrancante, per le conseguenze del caso. Tutte le sale del comma 6 sono partite con un ribasso del 30%, a causa della questione tessera sanitaria e della riduzione dell’erogazione della vincita causa tassazione. Detto ciò, credo che terminare l’annata in pareggio sarebbe un grandissimo risultato: ed è ciò che mi auguro con tutto l’ottimismo che è proprio di chi fa il mio mestiere o comunque l’imprenditore. Realisticamente, saranno
in pochi a riuscire nell’impresa di raggiungere un pareggio o addirittura di conseguire qualche utile, e ciò sarà emblematico
di quanto a fatica e quanto in maniera corretta un operatore sarà riuscito a reagire e muoversi sul mercato”.
Sa di colleghi operatori e/o fornitori che purtroppo non ce
l’hanno fatta a riaprire a fine lockdown?
“Sono senz’altro pochi quelli che non hanno riaperto; d’altra parte dopo 100 giorni di stop forzato la volontà di “buttarsi” e vedere come si poteva riprendere è sorta spontanea praticamente in tutti. È altrettanto vero che la falcidia di operatori in difficoltà, senza un adeguato sostegno dello Stato, sarà inevitabile. Questa crisi ha coinvolto tutti, a partire già dai fornitori che vedono i propri clienti non in grado di far fronte agli impegni di pagamento, fino ad arrivare a tutti noi operatori, con i problemi a fornire servizi e soddisfare in maniera congrua le volontà dei clienti. Un punto di partenza semplice (ma che risulta sempre troppo complicato per chi deve recepire il messaggio) sarebbe stato sospendere il PreU invece che inasprirlo. Purtroppo, sono ormai troppi anni che siamo trattati dalle amministrazioni statali alla stregua di un bancomat. Sarebbe auspicabile che lo Stato avesse la decenza di porre un freno a infilare sempre le mani nelle nostre tasche con una scusa o l’altra. È da quando siamo passati sotto i Monopoli che la storia si ripete, sempre uguale. Rispetto ai nostri colleghi europei siamo tassati ben più del doppio; ma se facciamo tutti parte dell’Unione Europa e siamo quindi sotto un’entità sovranazionale coesa non meriteremmo allora un’equità di trattamento? Ora più che mai che il periodo è disastroso, e che gli utili (che già di per sé non hanno mai raggiunto chissà che picchi), saranno ridotti all’osso (sempre se ce ne saranno), ci troviamo in difficoltà e avremmo bisogno di essere sostenuti e
difesi dal Governo, invece che ulteriormente affossati”.